La mostra che palazzo albergati dedica a Chagall è un intenso ritratto della realtà vista attraverso gli occhi sognanti dell'artista. Spostandosi nelle sale della mostra ci si perde nei colori vivaci e pregni della fantasia mista ai ricordi della storia, della letteratura e della Bibbia che da sempre avevano influenzato le rappresentazioni dell'artista. Un viaggio tra 160 opere e i suoi personaggi reali e non che li animano.
Alcune chicche nell'allestimento come il pavimento che si veste del dipinto scelto come immagine della locandina o le meravigliose gigantografie di altre opere retroilluminate attraverso un gioco di luci e colori capaci di prendere lo spirito dell'osservatore che cammina fra le sale per lo più immerse in un buio profondo, animato appunto dei colori vivaci dei dipinti.
Personale presente, discreto e cortese che ospita una mostra che ho il piacere di osservare quasi in totale solitudine. Cosa forse dovuta alla rigidità della sera ma che mi stupisce ripensando alla fila infinita che aveva animato la prima mostra organizzata a palazzo Albergati persino nell'ultima giornata di esposizione.
Una mostra certamente ricca che vale il prezzo del biglietto ma su cui tuttavia mi fermo a fare qualche riflessione.
La sensazione generale è di trovarsi in un déjà vu. Cambiano i temi, gli artisti trattati e i dettagli dell'allestimento ma è come se alla fine l'esito risulti sempre troppo simile, come se a cambiare realmente sia solo il contenuto, mentre il modo di mostrarlo e spiegarlo sia sempre lo stesso collaudato nelle esposizioni precedenti.
L'identità del palazzo risulta forse troppo forte per riuscire a sfruttarne a pieno lo spazio, concedendosi il lusso della sperimentazione, a volte anche un po' più estrema che regalerebbe forse un brivido maggiore al visitatore che si addentra fra le stanze.
Detto ciò non rimane che togliersi il cappello di fronte alla selezione delle opere, anche questa volta molto efficace, con opere pescate anche fra collezioni private, e quindi mai troppo spesso concesse all'occhio del grande pubblico.
Sempre molto forte l'impatto della sala finale dedicata di norma ad un progetto che permette l'interazione attiva con il pubblico; compito in questo caso svolto dalla Dream room ideata da Vincenzo Capalbo e Marilena Bertozzi. Le immagini tratte da famosi dipinti dell'artista scorrono proiettate sulle pareti e sul soffitto della stanza, accompagnate da dolci note con un fare quasi ipnotico che avrei osservato per ore.